La foto fa parte di una ricerca personale dal titolo "ORIGINI... PHOTOGRAPHIE..." lavoro iniziato nel maggio del 2006, questo giugno Ivan l'ha riproposto allegando questo articolo di Carlo Arturo Quintavalle:
Due secoli di storia
Quelle Foto che Parlano la Lingua di Tutti
Scriveva Adolf Loos che «ornamento è delitto», e scriveva a proposito di cornici, capitelli, volute, che si sovrapponevano agli oggetti: Loos sceglie quindi il design la cui forma corrisponde alla funzione e che prevede una moltiplicazione indefinita. Quindi la produzione degli oggetti in serie non fa perdere, per via delle replica identica, la loro qualità. Sembra che alle origini della fotografia, attorno agli anni fra 1824-26 e 1839 si sia consumato il primo scontro fra immagine singola e irripetibile e immagine moltiplicata. Prima Niepce e poi Daguerre avevano scoperto la fotografia, ma essa era una immagine non riproducibile, così ad esempio il dagherrotipo era una lastrina di rame argentato, un mondo delle ombre tanto prezioso da chiudere in cornice, da tenere nei cassetti. Ma quando Fox Talbot nel 1839 inventa il negativo su carta, il talbotipo, tutto cambia. Il negativo permette la stampa delle immagini in numero potenzialmente indefinito, ma, nei primi tempi, limitato a poche decine di pezzi, mentre la incisione su rame, oppure la litografia, possono produrre a centinaia le immagini disegnate o dipinte. Nel conto però va messa un' altra storia, a suo modo esemplare, quella del libro a stampa che comincia dal XV secolo e arriva fino ad oggi, una storia che fa capire molto del dibattito ottocentesco e anche recente sulla fotografia. Il libro a stampa dapprima imita quello miniato, ma ben presto segue altre strade, magari quelle di Aldo Manuzio e di tanti altri dopo. Ma allora moltiplicare è peccato? Fin dagli inizi la fotografia si è confrontata con questo problema: nata per essere riprodotta è stata considerata, per questo, non arte, per cui pittori impressionisti e macchiaioli, pittori accademici e realisti la utilizzavano ma, salvo pochissimi, come Degas, non ne riconoscevano l' importanza anche e proprio per la loro invenzione. In fondo l' idea che il ritratto, magari quello geniale di Nadar o quello più industrializzato di Disderi, nella Parigi dell' 800 permettesse a tutti di costruirsi, di proporre una propria immagine, e ai sovrani di moltiplicarla indefinitamente per farla inserire nei preziosi album di famiglia di tutti i borghesi, ci fa capire che il confronto fra coloro che credono nell' opera d' arte singola e irripetibile e quelli che pensano a un dialogo molto più ampio comincia cinque generazioni fa. Si dirà, ma allora adesso tutto è passato, la fotografia è per tutti, oggi, arte moltiplicabile, la si compra come un libro o un disco o un oggetto di design? Non è vero: proprio questa iniziativa infatti permetterà forse di scardinare almeno in parte un sistema, quello che distingue la foto d' arte, la foto tirata in poche copie e che si vende in galleria, dalla foto di cronaca, la foto di documento. I fotografi dalla guerra di Indipendenza americana a quella di Spagna al conflitto mondiale, i fotografi dei documenti civili di Life e di Look o dei nostri Epoca o Illustrazione italiana hanno raccontato la nostra storia. Le strade quindi appaiono due, limitare le copie fotografiche e venderle appunto in gallerie d' arte, oppure moltiplicare le immagini e riprodurle proprio per distruggere l' aura, il mito dell' opera singola, assoluta, che è un discorso che rinnova oggi l' estetica dell' idealismo e quella romantica. Così le foto che sono tanta parte della nostra cultura da quasi due secoli devono essere una lingua disponibile per tutti, non quindi trofei chiusi in qualche privata collezione ma devono educare alla civiltà delle immagini del nostro tempo. Insomma, la foto d' arte, oggi, è «delitto».
Questa foto avrebbe sicuramente successo in ambienti per così dire "metallari". La quasi totalità del nero che domina la scena non da possibilità all'osservatore, altro rispetto all'autore, di immaginare qualcosa, non da speranza di comprensione. Non c'è nemmeno un elemento che traghetti, con l'immaginazione, al tentativo di comprendere quanto descritto o riportato nella foto. Forse il fare questa fotografia deve aver comportato per l'autore qualcosa, qualcosa che andava comunicato. Ma nulla, oltre la chiazza nera che tenta di conquistare anche il centro dell'immagine. Stamparla sarebbe solo uno spreco di toner.....
5 comments:
La foto fa parte di una ricerca personale dal titolo "ORIGINI... PHOTOGRAPHIE..."
lavoro iniziato nel maggio del 2006, questo giugno Ivan l'ha riproposto allegando questo articolo di Carlo Arturo Quintavalle:
Due secoli di storia
Quelle Foto che Parlano la Lingua di Tutti
Scriveva Adolf Loos che «ornamento è delitto», e scriveva a proposito di cornici, capitelli, volute, che si sovrapponevano agli oggetti: Loos sceglie quindi il design la cui forma corrisponde alla funzione e che prevede una moltiplicazione indefinita. Quindi la produzione degli oggetti in serie non fa perdere, per via delle replica identica, la loro qualità. Sembra che alle origini della fotografia, attorno agli anni fra 1824-26 e 1839 si sia consumato il primo scontro fra immagine singola e irripetibile e immagine moltiplicata. Prima Niepce e poi Daguerre avevano scoperto la fotografia, ma essa era una immagine non riproducibile, così ad esempio il dagherrotipo era una lastrina di rame argentato, un mondo delle ombre tanto prezioso da chiudere in cornice, da tenere nei cassetti. Ma quando Fox Talbot nel 1839 inventa il negativo su carta, il talbotipo, tutto cambia. Il negativo permette la stampa delle immagini in numero potenzialmente indefinito, ma, nei primi tempi, limitato a poche decine di pezzi, mentre la incisione su rame, oppure la litografia, possono produrre a centinaia le immagini disegnate o dipinte. Nel conto però va messa un' altra storia, a suo modo esemplare, quella del libro a stampa che comincia dal XV secolo e arriva fino ad oggi, una storia che fa capire molto del dibattito ottocentesco e anche recente sulla fotografia. Il libro a stampa dapprima imita quello miniato, ma ben presto segue altre strade, magari quelle di Aldo Manuzio e di tanti altri dopo. Ma allora moltiplicare è peccato? Fin dagli inizi la fotografia si è confrontata con questo problema: nata per essere riprodotta è stata considerata, per questo, non arte, per cui pittori impressionisti e macchiaioli, pittori accademici e realisti la utilizzavano ma, salvo pochissimi, come Degas, non ne riconoscevano l' importanza anche e proprio per la loro invenzione. In fondo l' idea che il ritratto, magari quello geniale di Nadar o quello più industrializzato di Disderi, nella Parigi dell' 800 permettesse a tutti di costruirsi, di proporre una propria immagine, e ai sovrani di moltiplicarla indefinitamente per farla inserire nei preziosi album di famiglia di tutti i borghesi, ci fa capire che il confronto fra coloro che credono nell' opera d' arte singola e irripetibile e quelli che pensano a un dialogo molto più ampio comincia cinque generazioni fa. Si dirà, ma allora adesso tutto è passato, la fotografia è per tutti, oggi, arte moltiplicabile, la si compra come un libro o un disco o un oggetto di design? Non è vero: proprio questa iniziativa infatti permetterà forse di scardinare almeno in parte un sistema, quello che distingue la foto d' arte, la foto tirata in poche copie e che si vende in galleria, dalla foto di cronaca, la foto di documento. I fotografi dalla guerra di Indipendenza americana a quella di Spagna al conflitto mondiale, i fotografi dei documenti civili di Life e di Look o dei nostri Epoca o Illustrazione italiana hanno raccontato la nostra storia. Le strade quindi appaiono due, limitare le copie fotografiche e venderle appunto in gallerie d' arte, oppure moltiplicare le immagini e riprodurle proprio per distruggere l' aura, il mito dell' opera singola, assoluta, che è un discorso che rinnova oggi l' estetica dell' idealismo e quella romantica. Così le foto che sono tanta parte della nostra cultura da quasi due secoli devono essere una lingua disponibile per tutti, non quindi trofei chiusi in qualche privata collezione ma devono educare alla civiltà delle immagini del nostro tempo. Insomma, la foto d' arte, oggi, è «delitto».
Quintavalle Arturo Carlo
Pagina 26
(10 febbraio 2008) - Corriere della Sera
questa foto è palingenetica, assioforetica, misantrologia, coptoieratica...
Sono d'accordo, ebbravo Quintavalle Arturo Carlo!!!
Questa foto avrebbe sicuramente successo in ambienti per così dire "metallari". La quasi totalità del nero che domina la scena non da possibilità all'osservatore, altro rispetto all'autore, di immaginare qualcosa, non da speranza di comprensione.
Non c'è nemmeno un elemento che traghetti, con l'immaginazione, al tentativo di comprendere quanto descritto o riportato nella foto. Forse il fare questa fotografia deve aver comportato per l'autore qualcosa, qualcosa che andava comunicato. Ma nulla, oltre la chiazza nera che tenta di conquistare anche il centro dell'immagine. Stamparla sarebbe solo uno spreco di toner.....
grazie dell'analisi camillo, molto interessante. mi piace un sacco il concetto dell'essere traghettato da una foto.
ah, per il toner, prova qui
http://www.maledettacartuccia.it
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