Monday, 28 July 2008

beck - modern guilt

ti giri mentre sei seduto sul letto e noti che i tuoi dischi di beck compongono una poccola montagnola sullo scaffale.
sei quasi certo che il cd di odelay sia in macchina, dentro la custodia di fashion nugget dei cake, che temi invece di aver lasciato al mare. continui a guardare la montagnola e sorridi mentre pensi al suono buffo della parola montagnola.

montagnola.

montagnola.

ti senti piuttosto bene e forse additittura attivo.
poi guardi l'educata fila dei radiohead. sembra un'armata dalle teste di cristallo, con al comando le edizioni da collezione di ok computer e amnesiac.
confronti armata e montagnola e ti stupisci di pensare che forse ci sono piú cd nella seconda. inizi a capire che mellow gold lo metti su molto più spesso di the bends. ti senti un blasfemo eretico e ti vergogni. ad onor del vero quando ascolti the bends il mondo si ferma ed è come se ti si aprissero i chakra, però cazzo. basta guardarlo. mellow gold è proprio più consumato. non c'è niente da fare. e' che ti va di ascoltarlo esattamente come ti va di farti una birra con un vecchio e caro amico. nessuna apparenza da salvare. invece ok computer è religioso, sacro e inviolabile. e' più come andare ad una magnifica conferenza.

ti rigiri nel letto. continui ad avere un senso di benessere addosso anche se il tuo cd appena preso e' già alla penultima traccia. lunghezza a parte, era proprio quello che volevi. tutto incluso. batteria asciutta e dritta, basso rotondo e teso come una fionda e la chitarra... santoiddio, la chitarra che parla poco e semplice, ma con la voce marcia e potente degna del migliore low-fi primi anni novanta.
raggiungi il cd e cerchi il titolo della canzone: profanity prayers.
sai che il contatore di itunes salirà vorticosamente.
guardi la copertina di questo modern guilt e la scopri piacevolmente lo-fi., ma non troppo. il disco è fighissimo anche se un pó troppo completo per essere spontaneo. forse un pó manieristico, ma pur sempre alla maniera di beck. mi sa di disco per accontentare noi bimbi viziati.

ognitanto è bello lasciarsi viziare.

stai per uscire e e decidi di portare il cd in macchina con te. insieme a pablo honey che metti per tragressione nella costodia di gigi sabani. indossi i calzoni a righe, il cappello buffo di mamma e una canottiera pulita. e vai alla conferenza.

1 comment:

mauro said...

condivido l'idea che ogni disco vuole un certo tipo di ascolto. come ogni persona, va trattato in modo unico e univoco per la stessa essenza che incarna. C'è il disco che va meglio di notte, in autostrada. C'è l'album che ti parla di un tempo che non c'è più, un altro di qualcosa da venire. C'è quello da prendere a piccole dosi, magari un paio di tracce, così, tanto per gradire. Altri da ingollare senza soluzione di continuità. Poi ci sono band che esistono per il fatto stesso di suonare, mentre altri artisti li ascolti per il fatto stesso di esistere. Cioè come amici, confessori, confidenti. Qualche esempio? Se mi immergo nel vortice dei suoni obliqui dei My Bloody Valentine, cerco una sensazione, uno stordimento lucido. Non è nenache più l'artista o la band, ma... il SUONO. Mentre se ascolto gli Idaho, o, che so, Nick Drake, c'è un amico lontano che mi parla, si racconta, suona per me, con garbo e discrezione. Ad ognuno il suo insomma: "apricot to armagnac".